Elena e Paride
Se potessi recidere i nodi
che allo sposo m’aggiogano
Amore
non dovrei rinnegarti!
Ma disperazione e morte
accompagnano i nostri passi
e null’altro
se non l’Ade impietoso
ci attende…
Bellezza crudele
perché mi rendi
oggetto d’amore
per chi non amo
né m’è concesso
amare?
Saffo e Faone
Amo in te la bellezza
che a me fu negata
Nel seno ho un cratere
in cui brucia l’Etna
Ignobile corpo racchiude
un nobile cuore
e un dardo infocato
son le parole d’amore
che t’ho dedicato
Fillide e Demoofonte
Il tempo scorre lento
per me che t’attendo
sui lidi tracii
E delle ferite inferte
non sono quelle del rovo
che fanno più male
Medea e Giasone
Brucia il fuoco brucia
nella notte buia
Torcia o rogo
brucia nella notte
come il mio cuore
Resa inumana da te
non posso chiamarti “amore”
Belva che dilania
le proprie membra
Anima persa per sempre
alle gioie del mondo
Deianira ed Eracle
T’avrei preferito normale
così solo mio tu saresti
e non della Storia
Ma tu appartieni
solo a te stesso
e tuo è il Mondo
Di questa impari unione
vittime entrambi
noi siamo
Briseide ed Achille
Straniero che ho chiamato Amore
perdona la folle illusione
di chi si pensò tua compagna
e non era che misera schiava
Ho visto ruinare Lirnesso
straziare i fratelli e lo sposo
eppure pensarti non oso
al mio fianco, senza tremare
Didone ed Enea
Come il canto del cigno
queste parole cingano
il cuore crudele
e mi perdoni il Supremo
ché io non so perdonarmi
Il grembo di donna
che per te già fioriva
d’amore materno
conoscerà la tua spada
e spegnerà nel sangue
l’ardore malsano del cuore
Laodomia e Protesilao
Teso lo sguardo nel vento
fissai il tuo volto, le vele
e infine, il mare.
Mi persi perdendoti
E vago
fin dove mi spinge
il delirio.
La notte era dolce
col capo riverso
sul cuore
Così mi chiedo, ora,
il senso
di tanto dolore.
Ricorda: se m’ami
ama te stesso!
A me la tua immagine dolce
più fragile di pura cera
rimane da stringere
al seno
Fedra e Teseo
Amore tardivo m’incendia
per la tua candida veste
e il volto divino
Mi forzano il cuore
le giovani dita
che scagliano dardi
e piegano intrepide
ardenti puledri
Per te selvaggia anch’io
mi fingo
e bella sarò
se tu m’amerai
com’io ti amo
Ero e Leandro
Perfino nel mare in burrasca
ti vedo nuotare al mio fianco
e cingermi il corpo
con braccia d’acqua
Così al calar della notte
accendo, per te, sulla torre
l’amata luce
Arianna e Teseo
Affidata alla belve
nessuna fu più feroce
di te
Sveglia in parte
tesi le mani nel sonno
e già, non c’eri
Discinta, mi lacerai
le guance
La luna illuminava la spiaggia
La sabbia rallentava la corsa
e aumentava l’affanno
Legai il mio velo bianco
sulla punta aguzza
di un albero spoglio
e piansi a lungo
Poi mi distesi
nella nicchia d’erba del tuo corpo
ADDIO
Come cavalli al galoppo o marosi infranti
sulla battigia del cuore estremo sfinimento
ultima spiaggia disperato amore
pensieri a grappolo
ingombrano il cuore
strozzano in gola
parole già morte
sul nascere
Mia Vita
virgulto
estremo
ti perdo
DONNE DI PIETRA
Le donne di pietra rivivono
puoi sentirne il respiro
nelle notti d’Estate
-quelle torride notti
di pirati e di santi-
qui al Sud
Nella pietra respirano
e rintoccano i passi
e languidi canti
d’amore e di morte
sciolgono il sangue
nelle vene dei polsi
Donne di pietra sorridono
spargono al vento
-salmastro-
i neri capelli attorti
come serpi lucenti
di lacrime
e irridono
al destino beffardo
ad un cuore spezzato
al padre più duro
della roccia marina
Donne amanti bambine
sante votate al martirio
zingare pungenti
come agavi
selvagge ed amare
sul ciglio
dell’abisso
tornano indietro dal Nulla
e rintoccano i passi
sul grigio selciato
EUIPPA
“Ospite, vieni, a te vo’ presentarmi 1
io son Euippa di Malennio figlia
sposa di Idomeneo, il re di Creta
di Dauno son sorella che qui posa
accanto a noi su questa porta antica.*
.....................................................
Il nome che io reco ti ricordi 6
che fui donna gentil ma di coraggio
mai venne meno lo spirto ardito
quando tra balze e rivi cavalcava
al fianco dell’amoroso mio marito
......................................................
con il poeta ch’ebbe qui i natali 11
dirò che anch’io “tria corda” coltivai
chè qui i Messapi e i Greci e poi i Latini
furon le fondamenta del mio nido
Rudiae, terra di santi e di poeti 15
lasciai allorquando Idomeneo sposai
Creta m’accolse e ‘l culto della Madre
ch’è nei simboli dell’antica Europa
vincolo sacro d’amore e di vita.
..........................................................
Donna amazzone si ma non guerriera 19
invitta addussi pace ai patri lidi
e fertile di messi, viti e figli
la terra feci al canto di Cibele.
.....................................................
O Terra sacra che donasti canti 23
pietà di sepoltura e riti sacri
fondendo civiltà arte e cultura
Roma ti circondò di queste mura.
.....................................................”
1 e seg.- * “Porta Rudiae” prende il nome dall’omonima città che diede i natali, nel 239 a. C., a Quinto Ennio, uno dei più grandi poeti di Roma. Attualmente nella zona archeologica dell’antica Rudiae si possono intravedere un ninfeo, un ipogeo funerario, diverse tombe ed un piccolo anfiteatro.
Sui lati del portale, è possibile ammirare, i busti in pietra di Malennio, fondatore e primo re della città, dei suoi figli Dauno ed Euippa, di Lizio Idomeneo, re di Creta, sposo di quest’ultima.
6 e seg.- Euippa è nome di derivazione greca formato dal prefisso “eu”che significa “buono”e dal sostantivo “ippos” che significa “cavallo”
11 e seg.- Quinto Ennio, a detta di Gellio “tria corda habere sese dicebat, quod loqui graece et osce et latine sciret”........
15 e seg,- Affabulazione sul mito del culto della Dea Madre presente in segni energetici e vitalistici per tutto l’arco temporale che va dal paleolitico al neolitico nell’isola di Creta, isola nella quale la presenza femminile era associata ad un significato altamente simbolico e divinizzato come dimostrano gli studi di Gustav Lotz, Marija Gimbutas e Riane Eisler che rintraccia nella civiltà minoica e nel culto della Madre le fondamenta di una cultura della pace successivamente stravolta dall’irrompere delle divinità guerriere della civiltà micenea.
19 e seg.-L’unico culto pubblicamente riconosciuto in Puglia e derivato dai rapporti della nostra regione con la Grecia e l’Oriente fu quello di Cibele, la Grande Madre degli dei, di origine frigia, integrato nel culto pubblico, a Roma, durante la difficile congiuntura della seconda guerra punica.
23 e seg.- Famosi i dolmen, i menhir, i complessi ipogei della nostra regione testimoniano un culto dei morti radicato e dalle antichissime radici. Nella cultura iapigia il seppellimento dei cadaveri veniva praticato regolarmente con i defunti deposti sul fianco con gambe e braccia flesse, in fosse rettangolari coperte di ciottoli o lastre di pietra spesso sormontate da un tumulo di pietre mentre i neonati venivano deposti in vasi dal rozzo impasto.
Indicazioni bibliografiche:
Massafra A./Salvemini B. Storia della Puglia 1 Bari 1999
Riposati B. Storia della letteratura latina edizione Milano/Roma 1974
www.url.it/donnestoria/testi/creata/deamadre.htm
http://www.trovasalento.it/monumenti/lecce9.htm
Maria d’Enghien
“Mia canzonetta, porta esti compianti 1
a quelli che ti vonno dimandare
chi fue Maria d’Enghien bella regina
di Ladislao crudel misera sposa
che nessun uomo mai potè piegare.
Al mondo venni che le tre province 6
erano strette da unico emblema:
-Quattro delfini in atto di scherzare
a cerchio posti, Pallade ad onorare
le chiome sciolte e sul sommo del capo
in atto di vigilare, fiero, il drago-
Quell’emblema sembrò farsi destino 12
per me, figlia di conte e già signora
quando Luigi venne dalla Francia
e nel ricordo mi sovviene ancora
che l’Angioino fè di me la preda
ambita in una singolar tenzone
della quale io fosi guiderdone.
Foco d’amor al cor gentil s’apprese 19
pel valor di Raimondo dolze amato
e dell’Orsini tal malìa mi prese
che tutti li suoi averi elli mi dese.
Torre di Bello Luogo voi mirate 23
poi che di me vi sia, d’allor, membranza
allor che ginocchioni in umiltate
prìava riveder quella sembianza
dell’omo dolze di cui aggio ancor disianza.
Elli ebbe da lo re lo principato 28
lo più vasto, di Taranto nomato
ma sanza ch’ei facesse niuno torto
al principato assedio poi fu porto
e Ladislao imperò che lo adorato
Raimondo mio fosse, me lassa, morto.
Io stessa dopo la sua sepoltura 34
misi l’elmo e mi posi l’armatura
chè sanza lui non poteria gaudire
e in core volli Lecce sua servire
Per mia e per l’onore de la terra 38
lo barone Maremonte di suo cuore
al campo de lo re portò la guerra
ma fu sconfitto e cadde con onore
e ancora è noto a tutti lo valore.
Captiva? Non sia mai! Regina fiera 42
prese me come sposa lo re duro
e di lui no mi curai e non mi curo:
chè la prole adorata di Raimondo
avevo in core e in essi è lo mio mondo
chè ancora reindossai la veste nera.
A Lecce mia io volli ritornare 48
e ‘ncoraggiai le arti, le fiere e la cultura
a mille vidi li sudditi aumentare
resi la legge a tutti meno dura
e mostrai dunque che la nostra sorte
si può cambiare fino a che giugne morte.
1 e seg:- Maria Teresa Tafuri, Dirigente della Biblioteca Nazionale di Bari, riferisce che Maria d’Enghien accettando di sposare in seconde nozze Ladislao di Durazzo, uomo ritenuto dai suoi sudditi duro e crudele abbia esclamato : “ Non mende curo, moro regina!”; episodio che viene ripreso ai versi 42 e seguenti nei quali si sottolinea l’amore di madre di Maria per i figli di primo letto ed il fatto di essere rimasta nuovamente vedova ereditando il regno.
6 e seg.- Il Marciano riferisce che sino al 1481 le odierne province di Lecce, Brindisi e Taranto erano accomunate da un unico emblema “Quattro delfini che si mirano in circolo in atto di scherzare e nel mezzo di loro il capo di Pallade con le chiome sciolte in quattro parti e sulla sommità e vertice del un drago col capo e petto in atto di vigilare”.
12 eseg.-Raimondo Orsini, figlio cadetto, ottenne dallo zio, il conte di Soleto, il cognome De Balzo e prese come sua sposa la contessa di Lecce, la bella Maria d’Enghien. La leggenda narra che Maria fosse il premio ambito di un torneo cavalleresco, vinto, appunto, dal valoroso Orsini De Balzo.
19 e seg.- Raimondo orsini già conte di Soleto e Galatina, dopo aver conquistato il principato di Taranto unì con i patrimonio della sua sposa le sue terre in un unico amplissimo feudo che comprendeva l’attuale Salento ed il territorio della provincia di Matera.
23 e seg.- la strofa si riferisce alla Torre di Bello Luogo di forma cilindrica, sorta verso la fine del sec. XIII, le cui vestigia sono visibili a meno di un chilometro da Lecce, in una traversa della vecchia via per Brindisi.
La tradizione ci racconta che Maria soggiornava spesso in quella località trasformata in luogo di “solazzo de lo signuri” e a noi piace immaginarla mentre prega, in ginocchio, nella cappella affrescata, per il suo Raimondo, spesso impegnato in eventi bellici per servire il papa che lo aveva nominato gonfaloniere della Chiesa.
28 e seg.- Come si è già detto, Orsini Del Balzo divenne principe di Taranto ma ben presto scoppiò una rivalità con Ladislao, re di Napoli e durante il lungo conflitto, Raimondo morì
34 e seg.- Si narra che Maria non dandosi pace per la morte dell’adorato sposo, indossasse ella stessa l’armatura e guidasse e incoraggiasse gli uomini a resistere durante due anni di assedio.
38 e seg.- Ci piace citare ed immaginare quello che probabilmente fu uno degli ultimi episodi di pura cavalleria del periodo tardo medioevale: la singolar tenzone fra il barone Maremonte paladino di Maria ed il paladino di Ladislao con la vittoria di quest’ultimo.
42 e seg. Vedi versi 1 e seg con note di riferimento.
48 e seg.- Maria d’Enghien governò saggiamente dimostrando capacità straordinarie di lungimiranza ed apertura mentale: fu sua l’iniziativa di riprendere il commercio con Venezia, ripristinando lo scalo franco costituito dal porto di San Cataldo e stringendo rapporti economici con mercanti genovesi, ebrei, greci ed albanesi.
Suo inoltre fu il merito di aver voluto gli “Statuta et capitula florentissimae civitatis Litii”, esempio di oculatezza e rigore nell’amministrare la legge