A proposito della giornata dedicata a Dante Alighieri Il sommo poeta continua ad essere maestro di vita, oggi come ieri, oggi molto più di ieri. E’ per questo che plaudo all’idea di una sua commemorazione, un po’ meno per l’anglicismo di quella dizione “Dante day” che gli si poteva evitare, visto che Egli è, a giusto titolo, considerato il padre della lingua italiana e, dunque, ben più di un sol giorno merita per la lungimiranza con la quale comprese che il Latino doveva cedere il passo ad un nuovo idioma parlato dal “vulgus”, aprendo così la strada a tutti quei letterati, storici e studiosi della lingua italiana che ancora oggi ne consentono la formalizzazione nella lingua storico-naturale del popolo italiano. Una lingua non è solo uno strumento di comunicazione funzionale ai bisogni materiali dei singoli individui, essa è, soprattutto, forma e sostanza dell’evoluzione sociale e dunque culturale di un gruppo umano che, attraverso i concetti espressi attraverso la lingua, tramanda il proprio sapere di generazione in generazione. La grandezza di Dante consiste nell’aver saputo spiegare agli uomini del proprio tempo, nelle sue opere divulgative ancora oggi diffuse e note in tutto il mondo, la formidabile potenza de-scrittiva insita nel “verbum”, nel “logos”, nella “parola”, dono dell’Onnipotente all’uomo “gentile”, in grado di emulare nella straordinaria forza della poesia – poiesis- , il sommo fattore dando vita a mondi nuovi, frutto di immaginazione umana. Per poter descrivere il creato con la forza evocativa del creatore occorreva, dunque, una lingua altrettanto potente, una lingua viva, in grado di continuare ad arricchirsi attraverso l’apporto corale di un pensiero in continuo divenire: requisito che una lingua ormai “morta”, non poteva soddisfare. Ma, cos’è che fa di una lingua importante com’è stato il Latino per l’impero romano, la prima più grande potenza intercontinentale della storia del mondo, una lingua “morta”? La fine della capacità politica di quel popolo: il crollo dell’impero romano d’Occidente ha causato la fine del Latino come lingua “viva”. E’ per questo che dobbiamo tenerci stretto il nostro ITALIANO che fa di noi un popolo identitario in evoluzione. Ben venga, dunque, il giorno di Dante ma che non sia un giorno solo. Maria Gabriella de Judicibus
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Giunse nel mondo la malattia oscura
Che per contagio, la salute era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Questo virus del COVID così forte
che nel pensier rinnova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir come il mondo v’entrò
tant'era ‘l pianeta sfatto a quel punto
Ma poi che fu il COVID 19 giunto,
spargendosi così di valle in valle
tanto ch'a tutti avea di paura il cor compunto,
guardammo in alto, e vedemmo le sue spalle
vestite già de' raggi della scienza
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta
chè la notizia del vaccin era arrivata
anche se, ahimè, le dosi facean pieta.
E come quei che con lena affannata
usciti fuor del pelago a la riva
si volgon a l'acqua perigliosa e guatan,
così tutta la gente, ch'ancor fuggia,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
riprese a prenotarsi con sì gran lena,